Parmigiano Reggiano, Aceto balsamico e la #BertazzoniExperience
Nel cuore del mio Studio c’è un pezzo dell’Emilia Romagna, di quella regione ricca e generosa che regala alcuni dei prodotti più iconici e rappresentativi del Bel Paese e del mangiar bene al mondo. Abbiamo costruito il Juls’ Kitchen Studio attorno a una cucina free standing Bertazzoni, color vino, sei fuochi, forno elettrico da 90 cm. Cattura subito l’attenzione, attrae a sé gli sguardi e funziona come centro gravitazionale, tutto inizia e finisce lì, tra un soffritto e un pane cotto in forno.
Qualche tempo fa siamo andati alla scoperta di altri due prodotti rappresentativi dell’Emilia Romagna e di quelle zone che gravitano attorno alle città di Parma e Reggio Emilia, prodotti che trovano posto nella mia cucina e nel mio quotidiano: il Parmigiano Reggiano e l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia.
Sedetevi comodi, allacciate le cinture e ripercorrete con noi le tappe fondamentali della nostra #BertazzoniExperience.
Il Parmigiano Reggiano, una storia di latte e sapienza artigiana
“In una contrada che si chiamava Bengodi eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e ravioli e cuocergli in brodo di capponi, e poi li gittavano quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva”.
Boccaccio, scrittore medioevale autore del Decamerone, considerato insieme a Dante e Petrarca come uno dei cardini della letteratura italiana, così descrive il paese di Bengodi nella sua novella “Calandrino e l’elitropia”. Montagne di parmigiano grattato sulle quali si facevano rotolare maccheroni e ravioli.
Il Parmigiano Reggiano è legato alle sue zone di produzione fin da tempi antichi, quindi, e da allora ne rappresenta l’eccellenza e la perizia artigiana. È un formaggio a latte crudo, un’icona della tradizione gastronomica italiana.
Con la #Bertazzoni Experience siamo andati alla scoperta della Latteria Sociale La Rinascente.
Il Caseificio produce circa 13.000 forme l’anno, 36 forme al giorno, incluso sia il parmigiano Bio che il parmigiano pregiato delle famose Vacche Rosse.
Entrando vi potreste aspettare, da questi numeri, automazione, caos, confusione. Quello che si percepisce appena si mette piede all’interno, però, è lo scorrere di un tempo antico, dettato da consuetudini, tradizioni e saper fare.
Il Parmigiano Reggiano è un formaggio che si fa tutt’ora a mano, perché ogni fase deve essere sapientemente valutata da chi ha ormai mani e occhi allenati dall’esperienza. Ci sono innumerevoli variabili che possono influenzare il processo di lavorazione del Parmigiano Reggiano, dal tipo di latte alla temperatura esterna.
Il latte è raccolto in vasche di affioramento, le tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata, allineate una dopo l’altra, ognuna con il nome dell’allevamento di provenienza. Al latte scremato della mungitura serale si aggiunge quello intero della mungitura del mattino. Questo latte viene arricchito con il siero innesto e il caglio, che producono la coagulazione. La massa cagliata è montata a mano e nel frattempo cotta fino a che non raggiunge 55°C, poi viene raccolta in grandi teli e successivamente tagliata in due forme.
Da 11 quintali di latte si ottengono due forme che, a stagionatura finita, peseranno dai 40 ai 45 kg.
Dopo due giorni in camera di deposito, le forme di Parmigiano Reggiano sono immerse in una salamoia (35% di sale in acqua) per 18 giorni, l’unico conservante naturale ammesso all’interno del Parmigiano. In questi giorni il sale permea il parmigiano per un centimetro. Servono dai sei ai sette mesi perché il sale riesca a raggiungere il cuore del Parmigiano. L’assenza di conservanti e il procedimento lento e controllato di stagionatura richiedono la presenza di un latte di partenza impeccabile.
Ecco perché il Parmigiano è un formaggio che si fa principalmente in stalla. Ogni stalla è infatti controllata dal consorzio per quello che riguarda l’alimentazione degli animali che tanto influisce sulla qualità finale del latte e, di conseguenza, del formaggio.
Dopo la salamoia inizia la fase lenta, conosciuta come riposo del re: le forme di Parmigiano Reggiano vengono disposte in lunghe file e lasciate riposare su tavole di legno. Qui viene fatto stagionare per 12, 24 o 30 mesi, talvolta anche di più, nel silenzio ovattato e controllato. Gli esperti del Consorzio di tutela esaminano infatti ogni forma di Parmigiano Reggiano e solo dopo il loro assenso viene applicato il bollo a fuoco sulle forme che hanno i requisiti della DOP.
È il tempo quindi che durante la stagionatura regala al Parmigiano Reggiano la sua tipica struttura granulosa.
L’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia, una storia di tempo e pazienza
La Tenuta Venturini Baldini, 150 ettari di cui 32 a vigneto nelle colline matildiche, ha abbracciato la scelta del biologico dal 1991. Il cuore dell’azienda è nell’antica villa dove, nel sottotetto come da tradizione, la famiglia custodisce 400 botticelle per la produzione dell’aceto tradizionale di Reggio Emilia.
Meno conosciuto di quello di Modena, l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia differisce dall’altro non solo per la forma dell’ampolla ma soprattutto per il numero di aziende produttrici. A Reggio Emilia se ne contano solo 500, mentre a Modena sono 1.100.
Per tracciare la storia dell’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia bisogna fare un salto indietro nel tempo, fino al 1047 quando Matilde, cugina del papa, difendeva i suoi territori dal Castello di Canossa.
Il monaco Donizone narra di questo aceto balsamico prodotto nel castello di Matilde di Canossa, così famoso a livello europeo che l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma per l’incoronazione, fece tappa a Piacenza per procurarselo.
L’aceto balsamico nasce lungo il percorso della via Francigena, attraverso la quale si diffonde come elisir curativo, un balsamo efficace come cura contro i malanni che i pellegrini potevano sviluppare nell’attraversare le zone più malsane.
Più avanti nel tempo, l’aceto balsamico entra a far parte della dote delle nobildonne reggiane: vaselli di aceto balsamico pregiato e batterie di botticini vanno in dono alla donna al momento del matrimonio.
L’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia fa il suo cammino di maturazione attraverso sette botticelle, fatte per disciplinare e per tradizione con cinque diversi tipi di legno – gelso, robinia, castagno, ginepro e ciliegio -, ognuno responsabile di una sfumatura olfattiva e di una stratificazione di gusto diversa nell’aceto.
Dopo che le uve sono state raccolte e spremute, il mosto è cotto per due giorni e poi aggiunto alle botticelle, ognuna dotata di un’apertura. Quest’apertura serve non solo all’acetaio per monitorare le condizioni dell’aceto, che matura anno dopo anno, ma anche per consentire al mosto, che pian pieno diventa aceto, di respirare e evaporare, esposto ai micro organismi dell’atmosfera che contribuiscono alla sua evoluzione.
Il bollino aragosta contrassegna un aceto balsamico tradizionale di 12 anni, quello argento di 20 anni e quello oro l’eccellenza dell’aceto di 25 anni.
E se avete la fortuna di avere a disposizione dell’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia, come lo usate? Poche gocce con fichi e parmigiano, con il risotto alla zucca, con un risotto pere e gorgonzola, con le fragole o con il gelato alla crema fanno davvero la differenza.
Bertazzoni, una storia di eccellenza e passione
Era la fine del XIX secolo quando Francesco Bertazzoni fonda la sua impresa, dopo aver visto a Guastalla alcune cucine economiche a legna arrivate dalla Germania con la ferrovia. Pochi anni e il marchio Bertazzoni conquista tutta l’Italia.
Napoleone Bertazzoni, durante la prima guerra mondiale entra in contatto con l’industria automobilistica e si rende conto che lo stesso sistema di produzione di massa poteva essere applicato anche alle sue cucine. Così fece, garantendo all’azienda una crescita costante in termini di qualità ed efficienza.
Nel 2000 Paolo Bertazzoni passa al sistema Toyota, che garantisce la produzione di ciò che è richiesto dal mercato, senza magazzino.
C’è una massima flessibilità, dato che il numero minimo per la realizzazione di un ordine è uno. Ci sono linee manuali e automatizzate: le prime a linea lunga producono 175 pezzi al giorno, quelle a linea corta 85 pezzi.
Ogni cosa ha il suo tempo all’interno della fabbrica. Si può camminare lungo le linee di produzione e rimanere incantati dall’efficienza e dalla precisione con cui ognuno esegue le sue mansioni, come se tutto fosse tenuto insieme da un direttore d’orchestra nascosto.
Gli elementi fondamentali del sistema Toyota sono la flessibilità, l’orientamento all’ottimizzazione e la valorizzazione della componente umana. Il sistema Toyota include, infatti, anche numerose azioni di formazione interna, per far sì che il personale possa crescere all’interno della fabbrica in termini di competenze, responsabilità e coinvolgimento.
Ordine, processi fluidi, controllati e regolati, controlli a campione a monte dei componenti e a valle con verifica dei prodotti finiti, pezzi riciclabili al 100%, design moderno e italiano, colori pieni e vivaci, affidabilità e resistenza: tutto questo mi rende orgogliosa di avere una cucina Bertazzoni all’interno del Juls’ Kitchen Studio.
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