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Italian Table Talk: conserve d’estate. Fagiolini sottolio

Mi ricordo che alle medie la mia professoressa di Italiano ci fece fare un quaderno di auto analisi, in cui ci chiedeva di raccontarci attraverso fotografie, disegni e frasi. Per aiutarci a definire noi stessi – giovanetti e ragazzine ancora alla ricerca del sé – ci dettò qualche domanda a cui dovevamo rispondere. Tra le tante cose ci chiese anche quale fosse la nostra stanza preferita in casa. La mia risposta fu la dispensa.

Già da allora per me la dispensa era il cuore della casa insieme alla cucina, mi piace vedere i barattoli di marmellata e conserva di pomodoro allineati sugli scaffali, mi dà un senso di sicurezza e continuità sapere che in estate aumentano ogni giorno, prendendo pian piano il posto di quelli vuoti, in un ciclo che si alterna durante l’anno.

Fin da piccina provavo un senso di calma nello stanzino buio, che fosse quello più conosciuto di casa mia o quelli misteriosi dei nonni. C’era sempre la possibilità di fare qualche scoperta entusiasmante, un barattolo di pesche sciroppate rimaste nascoste dietro le bottiglie di passata o i funghi sottolio, tracce d’autunno da conservare.

E’ agosto, e con le altre ragazze di Italian Table Talk non potevamo che dedicare il nostro appuntamento mensile alle conserve, che fosse la marmellata di pomodori di Emiko,  ispirata ad una ricetta di Pellegrino Artusi, o la salsa di melanzane di Valeria oppure i cetriolini sott’aceto di Jasmine.

Nonna mi ha raccontato che in estate la maggior parte del tempo veniva dedicata alla conserva, un nome che non necessitava altre spiegazioni. La passata di pomodoro veniva imbottigliata per l’inverno insieme alla pomarola e ai pelati, un processo che richiedeva gli sforzi congiunti di tutta la famiglia, tra bottiglie, bucce da dare ai polli e schizzi di pomodoro ovunque.

Di confetture non se ne facevano tante, ed erano chiamate tutte marmellate, senza le distinzioni che oggi si attribuiscono in base alla quantità di zucchero o di frutta contenute: l’importante era che ci fosse abbastanza zucchero da conservare la frutta per molti mesi, trasformandola in una fonte di calorie preziosa per passare l’inverno, la merenda dei bambini.

Nonna ricorda la sua preferita, la marmellata di pomodori verdi, poi quella di susine e di pesche. All’inizio le more non venivano proprio considerate per la marmellata, poi sua zia Antonietta venne a trovare la famiglia da Todi e tra le tante novità che portò, insieme all’albero di Natale, ci fu anche la marmellata di more, che da allora divenne la regina dell’estate.

La marmellata che invece ricorda con più affetto è quella di fichi e uva fragola. Io la pianta di uva fragola non ho fatto tempo a vederla, è stata tagliata prima che nascessi, ma mi hanno raccontato che cresceva proprio accanto alla porta di casa e che si arrampicava su fino alla terrazza… cosa non darei per avercela ora! questa marmellata veniva conservata in barattoli enormi e tenuta ben nascosta. Ai tempi, infatti, la cucina era ancora condivisa da più famiglie, tutte imparentate, e ogni massaia la custodiva gelosamente nell’armadio di camera per la merenda dei suoi figli, per essere sicura che non rimanessero senza.

Le verdure si mangiavano volta volta, rispettando i ritmi della Natura. Le uniche verdure che si conservavano sott’olio erano i funghi – quando si trovavano – e i carciofi. Insieme a questi, anche le olive, nere e ben mature, venivano essiccate al sole o nella stufa e poi conservate sotto sale, e costituivano insieme ad una fetta di pane sciocco i mangiari di quando non si voleva perdere tempo a cucinare il pranzo.

Quando poi nonna si è sposata con nonno ed ha incontrato le tradizioni del Sud Italia, ha imparato da zia Valeria ad aggiungere a queste olive nere essiccate anche l’aglio e la scorza d’arancia, le preferite mie e di mia sorella Claudia. Quelle verdi, sempre secondo una tradizione meridionale, venivano invece denocciolate, tenute immerse nell’acqua per una settimana e poi conservate con olio e finocchio.

Accanto a frutta e verdura conservata in barattolo c’era anche la tradizione di essiccare al sole o nella stufa l’abbondanza dei prodotti estivi. I fichi venivano fatti asciugare al sole, con o senza mandorla, sui graticci ovali di salice fatti a mano, che sono ancora in cantina.

I pomodori piccini, detti a buccola, venivano colti ancora verdi, appena cominciavano ad arrossare. Si legavano a ciocca con uno spago e poi venivano attaccati nel capanno, al buio, dove venivano lasciati a maturare lentamente. Si usavano nell’inverno, ancora freschi e solo un po’ avvizziti. Ecco spiegato come facevano ad avere, nel rigore dell’inverno, i pomodorini da aggiungere alla ribollita o  al brodo di carne e verdura.

Agli e cipolle venivano conservate allo stesso modo: si faceva la treccia, che nonna non sapeva fare, e si attaccavano nel capanno. Le patate si conservavano in soffitta, al buio, le zucche grosse si coglievano a fine stagione e si tenevano da parte per l’inverno, si affettavano volta volta e ci si faceva la frittata.

Nonno Remigio, a San Gimignano, faceva invece i capperi sotto sale o sotto aceto. I capperi nascevano spontaneamente sulle mura della città, lui ogni volta che passava ne raccoglieva una manciatina, che poi a casa conservava per l’inverno. Mi ricordo di averli assaggiati da piccina, erano appetitosi, croccanti e aciduli, niente a che vedere con quelli che si comprano adesso. La marmellata che nonno faceva invece più spesso era quella di meloni bianchi, che coltivava nel suo orticello fuori dalle mura di San Gimignano, dolce come il miele con ancora dentro pezzettoni di frutta, che spalmavo con generosità sulle fette di pane per merenda.

Con il passare del tempo pian piano altri preferiti si sono aggiunti alla nostra dispensa: mamma ogni estate produce quantità incredibili di marmellate, soprattutto more, susine e pesche. Tra le verdure ogni estate facciamo conserve di pomodoro, pomarola con tutti gli odori, peperoncini ripieni di tonno e fagiolini sottolio.

I fagiolini sottolio con aglio e alloro sono tra le mie conserve per l’inverno preferite, perché grazie alla breve cottura in acqua e aceto rimangono croccanti e al dente. Sono ottimi come accompagnamento di un bollito misto, oppure come contorno ad una frittata soffice con un po’ di formaggio, per dare un bel contrasto sia nella consistenza che nel gusto.

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Fagiolini sottolio

Chef Giulia

Ingredienti

  • 800 g di fagiolini freschi
  • 1,5 l di acqua
  • 500 ml di aceto di vino bianco
  • Sale grosso
  • Olio extravergine di oliva o olio di semi bio
  • Aglio
  • Pepe nero in grani
  • Foglie di alloro

Istruzioni

  • Pulisci i fagiolini, staccando le punte con le mani e tirandole verso il basso, in modo da togliere il filo che, se sono già grandini, può risultare fastidioso.
  • Riempi una pentola con acqua e aceto di vino bianco, aggiungi qualche cucchiaino di sale grosso e appena prende il bollore butta i fagiolini.
  • Lasciali cuocere per circa 20 minuti, fino a che non sono morbidi ma sempre al dente.
  • Scolali, passali sotto l'acqua fredda per fermare la cottura e disponili su un canovaccio da cucina, in modo che si asciughino bene prima di metterli nel barattolo.
  • Mettili in piedi in un barattolo di vetro sterilizzato, aggiungi qualche spicchio di aglio, una o due foglie di alloro e un cucchiaino di pepe nero in grani.
  • Riempi il barattolo di olio extravergine di oliva o di olio di semi versandolo a filo, facendo attenzione a che i fagiolini siano completamente coperti, per evitare problemi nella conservazione.
  • Chiudi il barattolo e riponilo in un luogo fresco e lontano dalla luce, in dispensa, per esempio, e lascialo riposare per almeno un mese prima di consumarli.
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Questo articolo ha 5 commenti

  1. Quanto mi piace l’Italian Table Talk. Ho già girato alla mamma la ricetta dei Labna, ma anche questa si adatta benone all’orto di casa.
    Siete fenomenali!

  2. Anch’io non ho mancato il mio giro tra le vostre proposte e l’argomento di questo mese mi affascina non poco visto che quest’estate anch’io mi sono data a conservare il conservabile piantato innaffiato e raccolto!la dispensa una bella incubatrice in cui sentirsi nel cuore della famiglia, ne avessi avuta una anche io, sicuramente l’avrei eletta a mio nascondiglio preferito! A presto!

  3. Meraviglioso post, meraviglioso racconto!
    Ora so dove tornare quando mi sentirò un po sciocca a credere ancora in quello che faccio!!!
    Superlativo!
    e, naturalmente, questa ricetta me la segno per ilprossimo raccolto di fagiolini!!
    miciapallina

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