Dagli affreschi medioevali alla tavola: tagliatelle paglia e fieno con ragù di cinta Senese
Ultimamente passo diversi giorni a settimana a Firenze. La pappa al pomodoro la preferisco fatta secondo la tradizione fiorentina, piuttosto che come me l’ha insegnata nonna, alla maniera senese… Rimango però profondamente legata alla mia terra e alle mie tradizioni culinarie, nate in quella zona intorno a Siena, fatta di olivi, vigneti, colline dolci, casolari sparsi e strade bianche.
Questa è terra di persone schive, di frantoi e cantine, di zuppe di pane e fagioli, di erbe di campo raccolte lungo il ciglio della strada, di ricciarelli, panforte e cavallucci quando viene Natale, delle frittelle di San Giuseppe fatte di riso, di trippa e di cinta senese.
A Siena, nel Palazzo Pubblico che affaccia su Piazza del Campo, c’è il famoso affresco del Buon governo dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel 1.300. Nel lato dedicato agli effetti del buon governo in campagna c’è un contadino, vestito nella foggia del tempo, che spinge un maiale di cinta senese. L’animale è ritratto con precisione e autenticità, caratterizzato dalla fascia bianca che gli cinge il petto e dalle zampe anteriori a loro volta bianche.
Nonostante questa testimonianza risalga al quattordicesimo secolo, ci sono prove che la razza della cinta senese fosse allevata in queste zone già da Etruschi e Romani, andando a rappresentare il capostipite di tutti i maiali toscani.
Il suo ambiente naturale è la Montagnola Senese, le colline che vedo ogni giorno dalla mia finestra, coperte da boschi di leccio. La cinta senese è infatti una razza robusta, adatta a essere allevata allo stato brado. I suoi orecchi morbidi, che coprono gli occhi, servono proprio a proteggerli quando si muovono tra gli arbusti del sottobosco in cerca di ghiande, tuberi e radici.
Fino agli anni ’50 quasi tutte le famiglie contadine allevavano qualche esemplare di Cinta per il loro consumo nel senese, poi pian piano, da quando è stata introdotta la razza bianca, il Large White, la Cinta è andata scomparendo, fino a correre il rischio di estinzione. Anche nonna rammenta soltanto maiali neri o bianchi nei suoi ricordi di ragazza.
Per fortuna negli ultimi si è lavorato molto, anche grazie al Consorzio di Tutela della Cinta Senese, per scongiurarne l’estinzione. L’Azienda Agricola Casamonti ha avuto un ruolo fondamentale in tutto questo. Raymond Lamothe, il proprietario, è infatti uno degli allevatori che più si è battuto per salvare la Cinta e che tutt’ora dimostra un impegno costante per la qualità e l’onestà.
L’Azienda ha circa 500 animali, intelligenti e puliti, che vengono allevati allo stato brado nei 65 ettari di boschi della proprietà. Hanno una dieta varia, costituita prevalentemente da ciò che trovano nel bosco – ghiande, tartufi e funghi – e integrata da cereali no OGM.
Casamonti ha un salumificio interno, per garantire il massimo controllo di qualità sui prodotti finiti: prosciutti, salami, finocchiona, capocollo, lardo, guanciale, rigatino, salsicce… tutto fatto a regola d’arte, seguendo i tempi giusti, senza affrettare i processi dettati dall’esperienza dei norcini, solo con le spezie migliori. Il segreto è tutto qui: onestà, pazienza e ottimi prodotti di partenza.
Basti pensare che per fare un prosciutto di Cinta, che si riconosce per la presenza dello zoccolo nero, i cosci di maiale vengono massaggiati a mano, con il matterello, e poi vengono appesi per essere stagionati per ben due anni.
I maiali di cinta hanno inoltre un DNA unico, una carne più scura, un sapore più intenso dovuto proprio all’allevamento allo stato brado, un grasso che si scioglie in cottura (e in bocca) e soprattutto, recenti studi scientifici hanno dimostrato che contiene acidi grassi insaturi, in particolare serie Omega 3 e Omega 6.
Conosco Ray e Anna Rita, la moglie di Raymond, da qualche anno ormai, e volta volta ho potuto carpire i segreti della cottura della Cinta Senese: è infatti una carne particolare, che su fuoco forte tende a diventare dura. Necessita quindi di una cottura più dolce e prolungata, quasi il doppio della normale carne di maiale.
Vetrina Toscana mi ha chiesto di partecipare a un progetto di promozione, preparando una ricetta con un prodotto tipico toscano. Come avrete capito dal mio racconto, questi sono i prodotti che mi hanno dato: polpa di spalla di cinta senese e salsicce di cinta senese. Da qui dovevo pensare a qualcosa che potesse anche raccontare di questo inscindibile legame tra cinta e territorio.
Sono partita con la pasta fresca. Perché quando voglio fare qualcosa di speciale vado sempre a finire lì. L’odore di semola, impastata con uova e olio, è uno degli odori più primitivi che conosca, sa di casa e di domenica di altri tempi, di lavoro manuale e di piatti colmi e fumanti, prima che entrassero di mezzo diete e intolleranze. La pasta fresca è una delle ricette che mi ha fatto scoprire la passione per la cucina, non potevo che partire da qui.
Non sono però semplici tagliatelle, sono le tagliatelle paglia e fieno. La paglia, le tagliatelle gialle, si preparano nel modo classico e hanno un bel colore caldo solo grazie alla farina di semola, più grezza e rustica. Il fieno, le tagliatelle verdi, si preparano invece aggiungendo un pugnetto di spinaci già cotti, ben strizzati, all’impasto.
Nonna le preparava spesso di domenica, facendo un sughetto veloce con burro, concentrato di pomodoro, origano e prosciutto cotto. Era un primo rustico, contadino, colorato e accogliente. Volevo riportare la stessa sensazione di casa anche in questo piatto.
Tagliatelle paglia e fieno
Ingredienti
Tagliatelle gialle (paglia)
- 150 g farina 00
- 150 g semola di grano duro
- 3 uova
- 1 cucchiaio di olio
- 1 pizzico di sale
Tagliatelle fieno (verdi)
- 150 g farina 00
- 150 g semola di grano duro
- 1 uovo
- 80 g di spinaci già cotti
- 1 cucchiaino di olio
- 1 pizzico di sale
Istruzioni
Per le tagliatelle classiche
- Mescola farina 00 e farina di semola su una superficie di lavoro, meglio in legno, e forma una fontana con un buco ampio e profondo nel mezzo. Lì rompi le uova, aggiungi l’olio ed il sale e comincia pian piano con una forchetta ad amalgamare uova e farina. Quando la consistenza è briciolosa, impasta con le mani aggiungendo se necessario un cucchiaio di acqua fredda o un pizzico in più di farina.
- Quando la palla di pasta sarà liscia, vellutata e non più appiccicosa, avvolgila nella pellicola trasparente e lasciala riposare per 30 minuti a temperatura ambiente.
Per le tagliatelle verdi
- Frulla gli spinaci ben strizzati e tritati con la farina, finché non ottieni una farina verde e omogenea.
- Segui poi il procedimento usato per le tagliatelle gialle, usando solo un uovo perché la farina sarà già umida per gli spinaci. Se dovesse necessitare di altra umidità aggiungi un cucchiaio di acqua fredda.
- Quando la palla di pasta sarà liscia, vellutata e non più appiccicosa, avvolgila nella pellicola trasparente e lasciala riposare per 30 minuti a temperatura ambiente.
Taglia le tagliatelle
- Dopo i 30 minuti di riposo, tira la sfoglia. Qualunque sia il modo che preferisci usare – con la macchina a mano, elettrica o il matterello -, tira una sfoglia il più possibile sottile, larga e regolare.
- Lasciale asciugare una decina di minuti stese sul tavolo e spolverate di semola.
- Tagliale con la macchina o avvolgile su se stesse e tagliale con un coltello affilato in uno spessore di 1 cm per formare le tagliatelle. Spolverale di farina di semola e forma tanti nidi, pronti per essere cotti in acqua bollente salata per pochissimi minuti.
La polpa di spalla è invece diventata insieme alle salsicce di cinta senese un ragù rustico, profumato con gli odori tipici della cucina contadina di questa zona, alloro e ginepro, adatti anche alla selvaggina, che ben si abbinano al sapore intenso della cinta.
Il sugo, cotto lentamente su fuoco dolce, mescolato con pazienza e amore con un mestolo in legno, va portato a cottura con la passata di pomodoro, un barattolo fatto da mamma in estate, e il vino rosso, ovviamente un Chianti classico, per rimanere sul territorio.
Con queste dosi si ottiene un sugo che basta per più di dieci persone: io ne ho congelato una parte per lasciarlo per qualche occasione speciale, usando il resto per condire le tagliatelle paglia e fieno. È però così buono e saporito che anche mangiato con una fetta di pane toscano fresco potrebbe diventare un pranzo da re.
Ragù di cinta Senese
Ingredienti
- 1 carota
- 1 gambo di sedano
- 1 cipolla rossa piccola
- Olio extra vergine di oliva
- 1 kg di polpa di spalla di cinta senese, tagliata a cubetti di 1 cm di lato
- 3 salsicce di cinta senese
- 4 foglie di alloro
- 3 bacche di ginepro schiacciate
- 1 bicchiere di vino rosso Chianti
- 1 litro di passata di pomodoro
Istruzioni
- Fai un battuto fino di cipolla, sedano e carota. Cuocilo con qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva a fuoco basso, finché non si ammorbidisce e diventa traslucido e dorato.
- Aggiungi la carne tagliata a cubetti e falla rosolare a fuoco vivace finché non avrà assorbito tutto il liquido che rilascerà. A questo punto aggiungi la salsiccia sbriciolata, l'alloro, il ginepro schiacciato, sale e pepe. Mescola e fai cuocere quel tanto che basta a cuocere la salsiccia.
- A questo punto aggiungi il vino rosso. Il vino va messo piano piano, a gradi. Fallo ritirare del tutto prima di aggiungerne altro.
- Quando ha ritirato tutto il vino aggiungi la passata di pomodoro, sposta la pentola su fuoco basso e lascia cuocere coperto per circa un'ora e mezzo - due ore, finché il sugo non sarà ben sodo, saporito, con piccole goccioline di olio in superficie, che avrà assunto un colore caldo, rosso brillante.
A questo punto non resta che cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolarla e condirla generosamente con il ragù di cinta senese.
Con questo piatto, seduti comodamente a un tavolo con gli amici e la famiglia, vi sentirete nella campagna senese, in una domenica di novembre, con la nebbiolina che si impiglia ai filari di viti ormai ingialliti e il fuoco di un camino crepitante che vi scalda le spalle.
È questo il bello della cucina: si può celebrare una regione, una tradizione e un legame così forte tra prodotto e territorio con semplicità, riproducendo piatti che hanno alle loro spalle storie vecchie e autentiche. Così si può vivere un’esperienza sensoriale e concreta grazie al gusto più autentico di prodotti locali, uniti in un unico piatto da passione e storia.
Prodotto fornito da Vetrina Toscana: ristoranti, botteghe ed eventi enogastronomici in Toscana.
Questo piatto mi sa tanto di casa e di cose buone e profumate, che rinfrancano il palato ma soprattutto l’anima 🙂 Dove posso trovare della carne di cinta senese da farmi arrivare in pianura padana?
Ehehe, prova a sentire il Consorzio della Cinta Senese o l’Azienda Casamonti se sanno come fartela arrivare! 🙂
L’ho scoperta in ritardo, ma il sapore della cinta senese è tra le più grande scoperte dei trent’anni.
Ora mi hai messo voglia di tornare a fare la pasta fresca.
Io amo il prosciutto, ma diciamola tutta, amo soprattutto il grasso, che si scioglie in bocca! 😉
Why can’t I get the translated recipes?
Dave, I am translating it right now! it should be up within a few hours!
Giulia a che ora si pranza che sono già in viaggio? che meraviglia, amo le tue colline, ho la fortuna di avere parenti stretti che vivono nel senese e ogni volta è bellissimo andare e gustare tutte le vostre prelibatezze! bel post, dettagliato e interessante, ma del resto qua è sempre bello tutto!
Un piatto meraviglioso !!!! Che appetito ….
Un bacio.
Looks amazing!
sono le nove e mezza di mattina e ho già fame di ragù 🙂
è incredibile come un piatto così semplice e “ruvido” a casa mia fosse invece sinonimo di festa, di pranzi quasi importanti!
sarà per quello che dici tu, per via del fatto che quando si pensa a qualcosa di speciale il pensiero corre subito alla pasta fresca, al mattarello, alla spianatoia infarinata e perchè no anche a quattro o sei mani che lavorano insieme e si confidano segreti : )
Il ragù di cinta è perfetto per queste tagliatelle, che, lasciamelo dire, ti sono venute benissimo!
Ogni tuo piatto sa di casa mia. Come siamo fortunate a vivere in Toscana?!?
La cucina ci porta a ritrovare mondi perduti, ridà loro vita. Ed è così che le cose cambiano.
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